Dal punto di vista psicoanalitico, il conflitto tra padre e figlio è necessario ai fini della risoluzione del complesso edipico, processo dal quale dipende un regolare sviluppo affettivo del giovane uomo. Senza l’intervento del padre, il nucleo di dipendenza madre-figlio non può sciogliersi, impedendo così il passaggio alla fase adulta.
Rispetto a questa premessa, sembra opportuno sottolineare che viviamo un momento storico e sociale che ha portato una rivoluzione sul modo di esercitare il ruolo paterno, con caratteristiche singolari ma non sempre funzionali. Fino al secolo scorso il padre era una figura poco presente lungo il percorso di crescita dei figli e il cui ruolo educativo era basato sostanzialmente su un atteggiamento autoritario con l’utilizzo di comandi e punizioni (chi non ricorda la tipica frase materna che calmava subitamente gli animi: «Se non la smettete, stasera lo dico a papà!»). I bambini avevano paura del padre che, con suoi castighi, suscitava sensi di colpa e, spesso, lontananza affettiva.
Si è passati, però, da un estremo all’altro. Superata l’epoca del padre siamo passati all’epoca del figlio, caratterizzata da un eccesso di cura, di ansia, di preoccupazione rispetto al benessere e, fondamentalmente, da una rinuncia da parte dei genitori al loro ruolo educativo, in particolare quello paterno.